giovedì 16 aprile 2020

La città da dietro la finestra

Se Italo Calvino, che considero il più geniale scrittore del Novecento, fosse vivo oggi, al tempo del Conoravirus, quasi certamente avrebbe aggiunto un capitolo al suo capolavoro "Le città invisibili" e lo avrebbe intitolato "le città fantasma".
E' difficile infatti riconoscere le città per come le conoscevamo soltanto due mesi fa. Le città, indipendentemente dal rango e dalle dimensioni, sono un insieme di tante cose: memoria, segni, desideri, linguaggio. Sono luoghi di scambio non solo di merci, ma di parole, di gesti.
Oggi, passando i giorni affacciati alle finestre o dai terrazzi delle case dove ci troviamo a contare i minuti di un’esistenza sospesa, le città ci appaiono dormienti, deserte.
Sono misure necessarie per il contenimento dei contagi, certo. Giusto. 
Costretti a modificare repentinamente le nostre abitudini, a sospendere le nostre libertà più spicciole, questo ci appare come l'inferno. E questo mi riporta alla mente un altro passaggio del libro, quello finale, lo scambio tra Marco Polo e Kublai Khan si conclude così: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti; accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno non è inferno, e farlo durare, e dagli spazio".
Ecco, ci troviamo nell'inferno dei viventi, anche se è una condizione dalla quale tutti ci auguriamo di uscire presto e bene, soprattutto per non compromettere il futuro dei nostri figli. Costretti a rifuggire i loro sguardi straniti in questi giorni forse per non dover spiegare loro il perché di una così lunga permanenza a casa o perché non abbiamo risposte adeguate alle loro domande: "quando potremo andare al parco?", "quando torneremo a scuola?", "quando potrò andare a giocare dalla mia amichetta?".
Questi innocenti interrogativi aumentano di complessità se rielaborati da un adulto.
Mi domando quanto usciremo cambiati da questa storia, quale sarà la "normalità" del futuro (spero prossimo) e non posso non pensare che ci sarà ancora più bisogno di "quell'attenzione e quell'apprendimento continui" per cercare cosa non sarà inferno e valorizzarlo, farlo durare, dargli spazio. 
Il mio augurio è che diventino, le nostre, comunità mature per intraprendere un cammino,   possibilmente nuovo, mano nella mano.

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